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Note specifiche sull’alimentazione DOT

Note specifiche sull’alimentazione DOT

Perché un’alimentazione dedicata?

Perché’ è ormai evidente che anni di alimentazione errata e purtroppo controllata dagli interessi delle multinazionali hanno portato allo sviluppo di intolleranze e malattie autoimmuni.
Sempre più studi scientifici dimostrano che il glutine e soprattutto la modificazione genetica degli alimenti hanno portato a problemi di permeabilità intestinale.
L’intestino è il nostro secondo cervello e se questo non funziona correttamente si creano disturbi fisici ma anche depressione, sbalzi di umore, stanchezza cronica.
Ecco perché la scelta di eliminare gli alimenti infiammatori: GLUTINE, ZUCCHERI E LATTOSIO.

Perché non il glutine?

Il glutine è un complesso proteico contenuto in molti cereali di uso comune. Il glutine si trova in: frumento (grano), farro, avena, kamut, segale, orzo. Il glutine è assente in: riso, miglio, grano saraceno, mais, quinoa, amaranto. Il consumo di glutine (dal greco “gluten” vuol dire colla) danneggia le pareti intestinali causando permeabilità intestinale ovvero le giunture serrate che dividono l’intestino dal circolo sanguigno si allargano lasciando passare proteine indigerite, batteri, virus e sostanze che non dovrebbero entrare in circolo nel nostro organismo.
Nel tempo la permeabilità intestinale se non curata può portare alla nascita di malattie autoimmuni come artrite reumatoide, morbo di Chron, sclerosi multipla, diabete e celiachia.
Vi riporto un pezzo di articolo del Dr. Alessio Fasano che è il maggiore esperto mondiale del collegamento tra glutine, permeabilità intestinale e malattie autoimmuni. Il Dr. Alessio Fasano è gastroenterologo e ricercatore italiano, autore di centinaia di studi scientifici pubblicati sulle maggiori riviste internazionali. È a capo del reparto di Gastroenterologia Pediatrica e Nutrizione al Massachusetts General Hospital di Boston della Harvard Medical School e direttore del Center for Celiac Research presso l’Università del Maryland.

“La maggior parte della gente suppone che la celiachia e la sensibilità al glutine siano la stessa cosa. Per questo sebbene il glutine faccia male siccome il test della celiachia risulta negativo continuano a consumarlo e farsi del male. Per fortuna, questo pensiero arcaico sta cambiando rapidamente. Almeno il 20% della popolazione è intollerante al glutine (1 su 5) e la maggior parte non sa di esserlo. In realtà il glutine modificato di oggi che troviamo sulle nostre tavole sotto ogni forma è insalubre per tutti e quindi
andrebbe ridotto drasticamente passando a grani antichi (hanno un contenuto naturalmente basso di glutine). Tuttavia per molte persone anche un pò di glutine è dannoso.
Infatti anche se è ormai appurato che il glutine spesso impatti i villi dell’intestino tenue, è stato anche dimostrato che influenza negativamente il corpo in diversi modi. Di seguito è riportato un diagramma dei fattori che causano la permeabilità intestinale. Il glutine in molte persone innesca quasi tutti questi fattori distruttivi. Quindi all’osservatore intelligente risulta chiaro che il semplice test degli anticorpi non riesce a fornire una diagnosi accurata della sensibilità al glutine poiché la produzione di anticorpi è solo una componente di laboratorio di un problema dalle mille sfaccettature.”

Dr. Alessio Fasano

Dr. Alessio Fasano

Perché non il latte?

Il latte è fatto per i mammiferi appena nati, non è un alimento adatto a un adulto, e nemmeno a un bambino di qualche anno. Gli esseri umani sono gli unici animali che hanno un comportamento così innaturale, che va contro la loro stessa fisiologia. Non per niente, nel mondo tre quarti degli adulti sono intolleranti al lattosio, cioè sono privi dell’enzima (lattasi) necessario ad agire sullo zucchero che si trova nel latte (lattosio); questo impedisce loro di digerire adeguatamente il latte e conduce a malattie del sistema digerente più o meno serie. Lo zucchero principale contenuto del latte è il lattosio, un disaccaride. Per poter essere sfruttato come fonte di energia il lattosio deve essere scomposto nei due zuccheri semplici di cui è composto: il glucosio e il galattosio.
Tutti i mammiferi neonati, compreso l’uomo, possiedono un enzima, la lattasi, che nel duodeno, nell’intestino tenue, svolge questo compito. Alla fine dello svezzamento, quando cambia la dieta, per la maggior parte delle persone la produzione dell’enzima cala e tra i cinque e i dieci anni cessa quasi del tutto per un meccanismo evolutivo non ancora ben compreso.
Quando le persone intolleranti bevono del latte, il lattosio non digerito passa nel colon dove incontra i batteri che lo metabolizzano e producono acidi grassi e vari gas, tra i quali l’idrogeno.
Ed è proprio la produzione di idrogeno, che dall’intestino passa nel sangue e da lì nei polmoni, a essere sfruttata per il test non invasivo più accurato per verificare l’intolleranza al lattosio: il cosiddetto “breath test”. In più, il lattosio richiama acqua nell’intestino per effetto osmotico generando quindi diarrea, crampi, flatulenza e altri spiacevoli sintomi associati alla cosiddetta “intolleranza al lattosio”.
Le persone che da adulte continuano a produrre l’enzima (si parla di persistenza della lattasi) possono invece continuare a bere il latte senza avvertire problemi, ma comunque predisponendo il loro corpo all’infiammazione.
Questa situazione invece non avviene con tutti i formaggi stagionati che grazie al trattamento a cui sono sottoposti, se presi con moderazione, sono altamente nutrienti per l’uomo e non provocano reazioni da intolleranza.

Perché la dieta chetogenica?

Perché è la REGINA DELLE DIETE ANTINFIAMMATORIE.

La dieta chetogenica pur essendo un protocollo alimentare molto alla moda oggi, ha delle origini molto antiche.
Gli studi ed approfondimenti su questa dieta partirono nei primi anni 20, con la valutazione degli effetti sull’epilessia infantile.

Il Dr. Russel Wilder ed il Dr. Peterman della Mayo Clinic teorizzarono le caratteristiche della dieta e pubblicarono i primi dati scientifici relativi alla sua sperimentazione nel 1924. Furono in seguito gli studi pionieristici del Prof. Blackburn dell’Università statunitense di Harvard, negli anni ’70, a dare l’avvio alla diffusione ed applicazione in tutto il mondo del protocollo della dieta Protein Sparing Modified Fasting per la cura dell’obesità. Negli anni ’90 il protocollo Very Low Calorie Ketogenic Diet fu adottato presso l’Ospedale John Hopkins di Baltimora. Nel 1993 la prestigiosa rivista scientifica dei medici americani JAMA certificò il riconoscimento del protocollo dietetico da parte del ministero della salute. Milioni di persone da allora sono state trattate con successo, tanto da convincere alcuni governi a scegliere la Dieta Chetogenica nelle campagne di prevenzione delle patologie metaboliche.

In Francia ed in Finlandia il protocollo della Dieta Chetogenica è stato inserito nei programmi governativi di prevenzione e cura dell’obesità. Sono in corso diversi studi oggi sulle possibili applica- zioni di questa dieta nel caso di patologie neurodegenerative come sclerosi laterale amiotrofica, morbo di Parkinson, Alzheimer, per diversi tipi di tumori e per i danni cerebrali postraumatici. L’ADI, Associazione di Dietetica e Nutrizione Clinica, nel 2014 ha proposto la Dieta Chetogenica come terapia per l’obesità, oltre che per una serie di altre patologie su base metabolica.

Dopo quasi cento anni, si continuano a studiare le applicazioni della Dieta Chetogenica nella Medicina a conferma della sua grande validità nella cura e prevenzione di diverse patologie, tra cui un posto di rilievo occupa sicuramente l’Obesità.

Ora con l’arrivo del Covid si è visto come l’alimentazione cheto- genica fornisca una barriera ed una cura efficace contro il virus, abbassando drasticamente lo stato infiammatorio e aumentando la risposta immunitaria. Trial scientifici sono stati avviati in diversi ospedali anche sul territorio italiano.

Troppe proteine provocano tumori?

La convinzione di una correlazione tra eccesso di proteine e tumori nasce con il libro “The China study” del nutrizionista T. Colin Campbell pubblicato nel 2005.
Ormai largamente confutato innanzitutto perché’ partiva dalla assunzione che fosse una quantità superiore al 20% di assunzione di proteine della caseina a provocare un aumento di cellule tumorali. L’autore partendo da questo assunto condannava tutta l’assunzione di proteine animali.

Inoltre, i suoi studi escludevano componenti importanti di popolazione, per esempio, le persone di Tuoli in Cina che hanno un introito del 45 % di grassi nella loro dieta e di 134 gr. di proteine animali al giorno (il doppio della media americana) con bassissima incidenza di tumori e problemi cardiologici.

Vi consiglio la lettura del Protein’s debate tra il dott.re Loren Cordain e Campbell. Le esposizioni di Cordain si basano su 164 citazioni, quelli di Campbell su zero.
Un esempio lampante potrebbe essere lo studio sugli Inuit, popolo dell’Artico, chiamati erroneamente eschimesi (“mangiatori di carne cruda”) che hanno un’alimentazione prettamente carnivora e nessuna incidenza di tumori ne’ problemi cardiovascolari.

Ad oggi risulta sempre più lampante che il consumo di grassi saturi non è associato ad un aumento dei tassi di malattie cardiovascolari o di mortalità, ma a tassi inferiori.
Hong Kong ha il più alto consumo di carne al mondo e la più alta aspettativa di vita.

Il popolo indiano mangia poca carne e ha un alto tasso di malattie cardiovascolari.

Troppe proteine fanno male ai reni?

Sono gli ossalati i principali nemici dei reni. L’acido ossalico è un acido dicarbossilico non metabolizzabile prodotto dal metabolismo degli amminoacidi glicina, serina, di altri amminoacidi e dal metabolismo dell’acido ascorbico (vitamina C).

Si trova in grandi quantità nei vegetali verdi come, ad esempio, negli spinaci e nel rabarbaro, e viene assorbito facilmente nell’intestino tenue e nell’intestino crasso.
L’acido ossalico e i suoi sali (ossalati) è stato trovato in 215 fami- glie vegetali, tra cui molte piante delle colture. Gli ossalati possono generare sali idrosolubili (che si sciolgono in acqua) quali l’ossalato di sodio, di potassio e d’ammonio; o insolubili come l’ossalato di calcio, di ferro e di magnesio.

In condizioni di sovrasaturazione (iperossaluria), può portare alla formazione di pietre urinarie. Inoltre, la presenza di ossalato solubile negli alimenti può anche interferire con l’assorbimento di minerali quali calcio, magnesio e ferro. Le forme insolubili passano attraverso il tratto digestivo senza essere assorbite.

Un’altra seria problematica per i reni è rappresentata dal consumo eccessivo di alimenti ricchi di purine (quali fegato, rognone, acciughe, asparagi, consommé, aringa, sughi a base di carne e brodi, funghi, cozze, sardine e animelle) può aumentare il livello di acido urico nel sangue.

Tuttavia, una dieta rigorosa a basso contenuto di purina riduce il livello di acido urico solo in misura lieve. In passato, quando la carne e il pesce erano scarsi, la gotta era considerata una malattia dei ricchi.

Ma in realtà è l’associazione di una dieta ricca di purine con alcol o bibite contenenti sciroppo di mais ad alto contenuto di fruttosio che peggiora la situazione, in quanto tutte queste bevande possono aumentare la produzione di acido urico e interferire con la sua eliminazione da parte dei reni.

L’alimentazione che proponiamo non è strana, non è alternativa. È l’alimentazione che abbiamo avuto nei primi 200.000 anni della nostra vita su questo pianeta. Grassi animali, proteine, verdure a foglia verde, poca frutta di stagione.

E tutto coltivato in armonia con la natura: grass fed, senza uso di antibiotici, senza allevamenti intensivi.

Un “back to the roots” sviluppato dai nostri chefs-nutrizionisti perché possa essere buonissimo e assolutamente gourmet. Dall’antipasto al dolce nessuna rinuncia!

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